Testi di: Filibero Menna e di Francesco Moschini |
LA SOGLIA di Filiberto Menna - 1985 |
Sulla densità e sulla compattezza della materia cromatica punta anche Adele Lotito in una ridefinizione di pittura che non vuole rinunciare del tutto a una serie di rimandi esterni come spunti iniziali da cui muove il procedimento pittorico e con esso il meccanismo del libero gioco delle facoltà immaginarie. Questi dati di realtà ‑ frammenti architettonici per lo più o pietre assunte come forme stereometriche elementari ‑ appaiono però interamente ricondotti (ridotti) alle ragioni della pittura, quasi che l'artista avesse riletto e riproposto una delle più felici ricette di Braque: "Naturalmente l'oggetto può apparire tanto quanto permette la pittura. Ha bene le sue esigenze la pittura!". La costruzione del quadro passa in prima linea, diventa il motivo stesso dell'opera che riassume in se tutti gli altri elementi fino a riassorbirli e quasi cancellarli dentro lo spessore della materia‑colore. Questa assume il ruolo duplice di sbarramento e di filtro, di una porta che, appunto, si apre e Si chiude, facendo affiorare le immagini alla superficie dentro una luce evanescente (in un'alba o in un crepuscolo) o con l'improvviso incandescente bagliore di un grano di fuoco in mezzo alla cenere. "Della centralizzazione o della vaporizzazione dell'lo. Tutto é Io". Non è la prima volta che ricordo questa folgorante intuizione baudelairiana e anche ora essa mi appare come una chiave preziosa per capire il presente. Del resto, il tema di questa mostra non é forse riconducibile a una oscillazione tra le due polarità e alla esigenza, fortemente avvertita dagli artisti, di individuare il varco attraverso il quale le energie disseminate e disperse possano rifluire e condensarsi in un nucleo compatto? |