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OPERE
           
Testi di: Filibero Menna e di Francesco Moschini
 
L'AGGRESSIONE DEL TEMPO di Francesco Moschini - 1986

L'itinerario artistico di Adele Lotito così come si è andato configurando in questi anni, ha subito una sorta di svolta radicale a partire dalla messa in crisi dell'idea delI'arte come discorsiva rappresentazione, anche se pervasa dagli stravolgimenti cui ci avevano ormai abituato anni di intolleranza verso il concettuale e verso il progetto in nome di una nuova costruzione dell'immagine che recuperasse lontani valori da avanguardia storica coniugata con I'urgenza del dire immediato, con le distorsioni di un privato devastato e sentito come tragedia collettiva senza vie d'uscita. Ed è proprio la via del progetto ad essere recuperata ora in maniera perentoria dalla Lotito che, con una sorta di paziente cancellazione, ha abbandonato mano a mano quelle sue particolari vie dell'inconscio, dell'onirico e di un surreale più alchemico che poetico, per percorrere invece un sentiero meno intimista che facesse del proprio lavoro una sorta di ripensamento da zero delle strutture stesse dell'opera.
Una sorta di azzeramento che non significa affatto rinuncia a parlare del mondo ma piuttosto una graduale riscoperta delle strutture del linguaggio stesso. E se II suo procedimento sembra ricollegarsi alle ricerche artistiche del primi anni settanta, con la loro riduzione della pittura a pura occasione di riflessione sulla pittura stessa, sul suo modo di costituirsi e di costruirsi, sui suoi valori fondativi, come unica e superstite finalità dell'opera d'arte, come se non ci fosse più nulla da dire se non riverificare il metodo del proprio modo di dire, certo, a distanza di tanti anni, una ripresa di quella esperienza interrotta sembrerebbe qualificarsi come priva di qualsiasi ragione, come stanca riproposizione, infine come tardivo e nostalgico voltarsi indietro. E invece questo coraggio di ripensare al già dato caricandolo di impreviste e nuove sollecitazioni a qualificare la ricerca di Adele Lotito come assoluta novità ricca di fermenti e con sorprendenti prospettive di continuità. Proprio sul filo di questa continuità pare doversi leggere tutta la recente esperienza del suo percorso artistico: una continuità non certo di immagine, ma di metodo, di tecnica e di intenzionalità. II ricorso stesso ad una tecnica e ad una materia come l'incausto e la cera sembrano voler porre l'attenzione sulla solidità del lavoro, esibito con la materialità del suo farsi, con la pesantezza in termini fisici e temporali del suo stesso costruirsi, proprio in contrapposizione alla leggerezza del riferimenti culturali cui la Lotito sembra ricollegarsi. Tutto ciò quasi a sottolineare la necessità che misurarsi con l'opera sia anche sporcarsi con essa, entrare in conflitto con il suo andamento mentale per costringerlo sul terreno della contemporaneità, con la esibita urgenza del suo calarsi, qui e ora, nei problemi del quotidiano, per giungere infine ad un'opera intesa come registrazione di un percorso in cui le singole tappe vengono mostrate con le loro salvezze e le loro cadute. Ecco allora il lavoro della Lotito svolgersi per ampie sequenze successive, quasi a scandire all'interno del suo evolversi, veri e propri momenti differenziati, ciascuno con la propria compattezza, ciascuno con la propria conclusione ideale. Tutti però mantenuti sul filo di una unitarietà e di una intensità di immagine davvero sorprendenti, quasi che la materia stessa dell'opera dovesse garantire una forzata continuità, più di atmosfera diffusa che di struttura, in nome di una ricerca che si voglia porre come continuo scavo, a verificare, quasi stratigraficamente, la composizione deIl'opera come prima necessità. Si spiegano cosI le compatte sequenze che la Lotito è andata via via definendo, dagli iniziali cicli costruiti su pretesti naturalistici o artificiali, come quelli dei Fichi d'india, delle Balaustre o delle Scale. a quelli più maturi e di straordinaria bellezza delle Pietre incandescenti, delle Articolazioni e delle Torsioni, fino a quelli più recenti, di esplorazione dello spazio, su cui sembra impostato il nuovo ciclo delle Punte,). Dallo squadernamento iniziale, inficiato da quella mancanza di struttura dei primi cicli, patetici nella loro elementarità di disposizione, costretti a galleggiare nei vuoti già profondi dell'opera, ma incapaci di costituirsi in sequenza e costretti a vagare come struttura assente, con la loro casualità, la Lotito è riuscita a giungere oggi ad una serrata concatenazione imprimendo a quelle immagini, anziché il senso della pura continuità, se non della casuale vicinanza, il rigore della necessità, di ogni loro giacitura.
Se i lavori iniziali potevano già contrapporre all’indagata profondità del fondo, con il suo stratificarsi del tempo trascorso, con il suo invecchiamento da superficie corrosa dall'esistenza, la sinuosa leggerezza delle spensierate evoluzioni di quei corpi in libertà, ora, la stringatezza del suo lavoro non ammette più alcuna libertà. Tutto è sottoposto al rigore ascetico di una immagine che si deve costruire in modo definitivo e senza sbandamenti e compiacimenti. Qualsiasi ricchezza o ridondanza formale è censurata: non ci possono più essere nemmeno qui appena accennati riferimenti alle corpose stesure, dissonanti nel loro giustapporsi, di un Poliakoff, citato come memoria lontana nelle Pietre incandescenti. Rigorosamente e sapientemente viene dosato anche l'ingresso visivo all'opera, quasi sempre mantenuto in orizzontale, dal basso o dall'alto, ma sempre ad enfatizzare una sorta di ipotetica centraIità. La costante poi sembra essere quella di una progressiva spoliazione del lavoro, costretto a concentrarsi su pochi elementi sempre più scarnificati. Questi debbono addirittura perdere la loro corposità a tuttotondo, aggrediti come sono dagli abissi degli stessi fondali da cui emergono: possono al massimo essere appena ravvivati da tenui coni di luce che ne fanno però risaltare la loro rarefazione costringendoli così per sopravvivere a costruirsi un proprio doppio. Quelle successioni allora che nonostante la boro vocazione all'infinito vengono troncate dai limiti fisici del quadro, possono soltanto tentare la via di un morbido andamento o quella di una retrocessione alternata a quella di una esibizione in primo piano, poiché altro loro non è concesso.
Anche gli squarci che sembrano affondare nel bituminoso indistinto dell'opera sono smorzati nella loro aspirazione sin quasi a trasformarsi dalla loro condizione iniziale in eco lontana che ritrasmette come foresta intricata, sino a moltiplicarle le mute presenze, relegate così al semplice ruolo di comparse.