Alluminii
OPERE
a a
 
ADELE LOTITO E LA SUA STELLA di Mario de Candia - 1990
 

A distanza di non pochi anni dalla sua ultima personale romana, Adele Lotito si ripresenta sulla scena espositiva cittadina con "abiti" completamente mutati, e che rispondo ad una profonda e radicale modificazione: operata partendo da un'analisi sulle strutture stesse, primarie, e che mette in discussione non solo quelle intimamente connesse con la visione, ma anche quelle che s'interrogano sullo stesso fare, sulla vaIenza comunicativa e veicolare dell'agire cercando di postularne statuti teorici da verificare con una continua
pratica. E, questa ultima, ricondotta ad un livello quasi minimale, trattenuto, in cui tutto si riduce grazie ad una elaborazione quasi azzerante, giocata sulle regole di un sistema binario, di dualità ed entità contrapposte, programmaticamente tese ad eliminare qualsiasi elemento di disturbo, di sovraccarico dal testo artistico.
Anche se il progetto della Lotito assume poi in effetti connotati del tutto personali e caratteristici (che inoltre non segnano fratture dolorose né traumatiche con una ricerca originatasi in quel clima di esuberanza e di fiducia nel potenziale comunicativo ed espressivo del "racconto pittorico" felicemente innescato più di un decennio fa dalla Transavanguardia), l'operato, e più che l'operato direi l'atteggiamento e la mentalità che la ricerca dell'artista individuano e concretizzano, vanno a coincidere con l'interrogativa situazione di rifondazione, revisione e di riconsiderazione che l'arte e gli artisti, un pò ovunque e a Roma in particolare, hanno innescato. E che, da qualche tempo, conducono singolarmente sulle ragioni, funzioni e ruoli da assumere anche rispetto ad una prospettiva temporale non necessariamente o esclusivamente ancorata alle ristrette discriminanti dei tempi attuali.
Nel caso specifico, Adele Lotito propone una installazione giocata su una ipotesi tanto reale quanto virtuale di specularità, di materializzazione del riflesso, termine quest'ultimo che gioca un ruolo polivalente e polisignificante né più né meno corrispondente ai significati assunti dal "riflettere" nella lingua di tutti i giorni. E una stella a cinque punte composta da altrettanti triangoli d'alluminio, segnati da una continua, ossessiva e maniacale scalfitura che, più di porsi come un tentativo di scrittura, sembra rispondere ad un'altra esigenza o volontà, quella di misurare la capacità di modificazione della materia posseduta dal gesto unito al segno, di togliere e creare uno spazio di buio, un'ombra dove il metallo è politissimo, e di luce dove una stesura di nero compatto oblitera con andamento progressivo i raggi della stella.
A questa composizione ancorata sulla parete, che genera un'idea di movimento e di vuoto corrisponde sul pavimento una stasi con un pieno, speculare alla prima, formata da nove quadrati di alluminio sui quali si ricompone, riflessa, distorta, la forma della stella il cui movimento risulta bloccato dai margini di un marcato disegno.
Per molti versi, il lavoro della Lotito sembra esemplificare un'attitudine emergente e molto complessa che vede l'artista, oggi, agire su materiali interni, esemplari, quasi "patologici” e stabilire un principio di identità, per cui proiettivo, col quale investe la rappresentazione di un senso e di un significato coincidenti con il proprio modo di vedere, vivere ed essere nella realtà.