In-croci di senso. Adele Lotito è un'artista leggera e pesante. E leggera per l'approccio soave e spontaneo al lavoro, per la gradevolezza, il passo rapido e l'agilità sportiva; per il linguaggio scelto e le materie: il disegno, il segno, il fumo di candela, la carta e l'alluminio, raramente i colori, con la preferenza del rosso. II rosso per Hegel è il colore dei colori e Adele lo usa con parsimonia: solo quando serve perché vuole mantenere il controllo delle
emozioni. Ma Lotito è anche un'artista pesante perché assume su di se, artisticamente, l'onere di mantenere aperta la prospettiva del senso, che è come dire che sulle cose si esercita l’influenza del caso ma anche quella della necessità (Monod). E della necessità bisogna farsi interpreti - come lei si sforza di fare - se non si vuole
retrocedere nella barbarie, abbandonandosi al corso naturale degli eventi, alla prevalenza degli istinti più bassi e dei poteni più protervi.
La necessità della quale Adele Lotito si fa poetica portavoce è quella espressa da una cultura logocentrica, che va logorandosi sotto i colpi della deregolazione mediatica
e della semplificazione becera del pensiero unico.
II modo originale che questa artista ha di ritagliare squarci di ragione nel caos è quello che si esprime nell'aprire, sulla superficie impalpabile e irregolare delle sue distese di fumo, bloccate su alluminio o su carta dai fissativi e dalle resine, spazi di possibile senso: lettere, cioè, di idiomi diversi, numeri di oggi o di ieri (come quelli romani), brevi parole di senso compiuto; ma più spesso lettere e numeni. Non segni e non significati, piuttosto elementi
significanti dai margini vibranti e dalla finitura volutamente imperfetta. Frammenti, cioè, di una comunicazione possibile, che può realizzarsi sul piano verbale, letterario o matematico solo attraverso un opportuno assemblaggio delle lettere e dei numeri stessi, che è come dire: tenere aperta la possibilità di un significato, senza nascondere
l’incertezza del galleggiare in un cielo di fumo delle lettere e dei numeri, liberi ed esitanti, disponibili ad ogni possibile ordito concettuale, sublime come il Magniflcat o diabolico come il Mein Kampf.
Non so se l'intendimento di questa artista romana, protagonista di una svolta poetica di grande novità e fragranza nell'ultimo biennio, sia filosofico. Quello che è certo è che la sua pittura - perché di pittura si tratta, e della migliore - é capace di intrecciare l'affioramento di
una seduzione formale fatta di equilibrio e di ardimento concettuale, con la sfida di un ragionamento che ci costringe al dubbio.
Le opere di Adele Lotito sono belle da vedere, ma anche da pensare: nutrimento dell'occhio e dell'intelligenza, come nella migliore tradizione italiana.
In-croci, l'opera presentata in questa Biennale, è particolarmente ben risolta perché porta a compimento e a sintesi la storia di un fare e di un pensare. I due pannelli realizzati, autonomi ma arricchiti di senso dalla reciproca vicinanza, accostano due alfabeti che i terroristi del mondo vorrebbero l'un contro I'altro armati: quello arabo affiora da una superficie rossa, dando di se un'immagine di sontuosa eleganza quello occidentale rende discontinua la superficie del fumo, esibendo una trama che è insieme astratta e non astratta perché, pur non riproducendo la realtà, di essa presenta il presupposto e cioè la condizione elementare del Iinguaggio.
II Magnificat lega le due opere perché è una lode a Dio, un anello fra il Vecchio e il Nuovo Testamento e, in questo caso, anche un anello fra due religioni monoteistiche che cercano e trovano (finalmente) la possibilitâ di un dialogo.
Roberto Gramiccia |