dal libro FRAGILI EROI - 2009 e dalla rivista STILE ARTE - 2008
LA CERTEZZA DEL FUMO di Roberto Gramiccia
Testi critici

Uno pensa che un pittore debba lavorare coi pennelli e coi colori, per forza. Se no che pittore è ? E invece non è sempre cosI, o meglio non è solo così. Così capita che Kounellis si autodefinisca pittore anche quando realizza installazioni che pesano tonnellate (col ferro, il carbone, i sacchi, il caffè, i quarti di bue...). E capita ancora che Adele Lotito oltre alla matita, alle forbici e ai pennelli usi, come suo principale (e connotante) strumento di lavoro una semplice candela di cera. Una candela con la quale fa miracoli, sdraiandosi a terra e "scottando" le superfici di alluminio e di carta (meno spesso di tela) adagiate su un cavalletto e sospese sopra di lei. Le volute del fumo si imprimono sul supporto, sotto la guida sicura della mano di Adele, e le coreografie astratte più mutevoli e suggestive si affacciano, prima di essere trattenute per sempre dai fissativi o dalle resine.
Per anni le pagine aniconiche di cieli percorsi da nubi di fumo più o meno addensate Si sono moltiplicate, creando magnifiche biblioteche di immagini impalpabili sorprese da spunti antropomorfici e zoomorfici non sempre casuali. Poi è iniziata la stagione delle incisioni che aprivano sul fumo sottili percorsi, "graffi" atteggiati a restituire immagini simboliche: spirali, ragnatele, piume, voli di uccelli, occhi e altro ancora. I cieli dell'artista si sono popolati di Segni e di forme. La vita vi è sorta dal nulla.
Adele Lotito non rinnega la sua leggerezza. Persistono l'approccio soave e spontaneo al lavoro, il passo rapido e l'agilità Sportiva.
Entrano in scena i colori, con la prevalenza del nero e del bianco, a volte dell'oro e dell'argento e meno spesso del rosso. Il rosso per Hegel è il colore dei colori, e Adele lo usa con parsimonia. Solo quando serve, cioè, perché vuole mantenere il controllo delle emozioni sue e di coloro i quali apprezzano il suo rigore. Ma oggi, oltre a questo - posso ben dirlo conoscendo la svolta impressa dalla pittrice al suo lavoro nell'ultimo biennio -, Lotito ha assunto su di sé l'onere di contribuire a mantenere artisticamente aperta la prospettiva del senso (ogni artista autentico si pone in una prospettiva assoluta).
Che è come dire che sulle cose si esercita l'influenza del caso ma anche quella della
necessità (Monod). E allora della necessità bisogna farsi interpreti - in qualche misura e in qualche modo - se non si vuole retrocedere nella barbarie, abbandonandosi al corso naturale degli eventi, alla prevalenza degli istinti più bassi e dei poteri più protervi (che sono i pericoli di tutti i tempi e più che mai del nostro).
La necessità a cui attinge Adele, e della quale si fa poetica portavoce, è quella espressa da una cultura logocentrica occidentale che va logorandosi sotto i colpi della deregolazione mediatica e della semplificazione becera del pensiero unico. Di questa minaccia epocale l'artista ha preso atto e a questa intende reagire.
II modo originalissimo - direi unico - che Lotito ha di ritagliare squarci di ragione nel caos e quello che si esprime nell'aprire sulla superficie impalpabile e irregolare delle sue distese di fumo spazi di possibile senso: lettere cioè di idiomi diversi, numeri di oggi o di ieri (come quelli romani), brevi parole di senso compiuto. Ma più spesso lettere e numeri. E cioè non segni e non significati, piuttosto elementi significanti dai margini vibranti e dalla finitura volutamente imperfetta.
Frammenti, cioè, di una comunicazione possibile, che può realizzarsi sul piano verbale,
letterario o matematico solo attraverso un opportuno assemblaggio delle lettere e dei
numeri stessi.
Che è come dire: tenere aperta la possibilità di un senso, di un significato, senza nascondere l'incertezza del galleggiare in un cielo di fumo delle lettere e dei numeri, slegati e liberi, disponibili cioè ad ogni possibile ordito concettuale, sublime come il Magnificat o diabolico come il Mein Kampf. Ci sarà un vento ordinatore a mettere in serie quelle lettere e quei numeri? E' questo l'interrogativo che la pittrice ci pone. E l'uomo saprà venire a capo del caos o ne resterà sommerso?
Non so se l'intendimento di questa artista romana già esperta e stimata e, nell'ultimo
periodo, rigenerata da nuovo vigore creativo sia filosofico. Non credo che lo sia in senso stretto. Quello che è certo è che la sua pittura è capace di intrecciare l'affioramento di una seduzione formale fatta di equilibrio e ardimento concettuale con la sfida di un ragionamento che ci costringe al dubbio. Le opere di Adele Lotito sono belle da vedere ma anche da pensare. Nutrimento dell'occhio e dell'intelligenza. Come nella migliore tradizione italiana. Pensate a Burri e a Fontana. A Boetti, a Paolini, a Kounellis (maestri certo per lei, ma non passivamente vissuti).
In-croci - l'opera proposta alla XIII Biennale di Arte Sacra - è un piccolo grande capolavoro perché porta a compimento e a sintesi la storia del fare e del pensare di questa artista originale e inquieta. I due pannelli realizzati, autonomi, ma arricchiti di senso dalla reciproca vicinanza - non un dittico, piuttosto due opere in dialogo -, accostano le lettere di alfabeti che i terroristi del mondo vorrebbero l’un contro l'altro armati. Quello arabo affiora da una superficie rossa dando di sé un'immagine di eleganza ben superiore a qualsiasi sfinimento liberty. Quello occidentale rende discontinua la superficie del fumo - la cifra dell'artista è così apposta sul suo proprio alfabeto - esibendo una trama che è insieme astratta e non astratta, perché, pur non riproducendo la realtà, di essa presenta il presupposto e cioè la condizione elementare del linguaggio: le lettere, appunto, disaggregate e volanti.
Di quel volo le superfici concettuali di Adele Lotito esprimono il caso e la necessità e in
questo intreccio - credo - si nasconde il segreto della bellezza dei suoi quadri. Perché la bellezza più profonda è quella che ha a che vedere con l'autenticità, e cioè con il vero. Ed il vero, solo quando è matematico o geometrico può essere perfetto e puro (incontaminato) vita è sempre "sporca" come un neonato che vede la luce. Mischia, cioè, umori e ideali, paure ed eroismi, miserie e sacrifici e, prima di tutto, paura della morte e reazione ad essa.
Insomma: caos e cosmos. E quando l'arte si avvicina alla vita, cioè al vero, cioè al bello
da questa miscela che deve esplodere. Sarà lo stile a regolare le modalità degli effetti
formali di tale esplosione.
Lo stile di Adele è quello misurato e controllato di una scuola che da Piero della Francesca arriva a Mondrian, a Lo Savio, a Fontana, a Manzoni. La misura era l'aspirazione massima degli antichi greci (tanto per chiarire che nulla mai si inventa veramente). L'originalità di questa artista sta nel collocare la sua ricerca nella scia della tradizione concettuale più nubile che dal disegno fiorentino si spinge fino a Duchamp senza trascurare le influenze del cuore e le geometrie dei sentimenti.
Quando le parole e i numeri cesseranno di essere distribuiti in modo caotico, allora forse Adele avrà raggiunto il suo scopo e smetterà di dipingere. Ma questo non accadrà mai.