DE LE STELLE FISSE di Paolo Balmas
Testi critici

Il pollice opponibile e la posizione eretta. Queste, secondo un'opinione diffusa, le caratteristiche fisiche dell'animale uomo che gli avrebbero consentito di elevarsi al di sopra di tutte le altre specie. Due prerogative da integrare tra loro, e con molte altre, qualora si voglia formulare una corretta ipotesi sulle conquiste successive che hanno presieduto allo sviluppo della civiltà, ma anche due considerazioni che possono dar vita a suggestioni del tutto diverse.
La prima ad es. potrebbe evocare la visione di un nostro irsuto antenato intento a scheggiare frammenti di selce, accovacciato davanti al fuoco; la seconda invece, ce lo potrebbe mostrare, al calar delle tenebre, in piedi sulla soglia della sua caverna, con lo sguardo levato a "rimirar le stelle".
Due immagini che potrebbero anche essere poste ad emblema di due modi diversi di spiegare la logica del mutamento nella storia dell'arte. Da una parte la tendenza a rifarsi sempre alla sperimentazione di materiali e tecniche resi via via disponibili dall'evolversi della società, dall'altra quella a mettere, ogni volta, al di sopra di tutto, sogni e fantasie, apparsi alla coscienza del singolo, ma solo per essere subito proiettati sullo schermo universale di un sapere condiviso. L' homo faber contro l'homo sapiens, ovvero due modelli interpretativi che, filosoficamente parlando, è assai più ragionevole concepire come unificati in una stessa figura, quella dell' animal symbolicum, ovvero dell'uomo inteso come soggetto che costruisce la realtà, nell'atto stesso di indagarla relazionando tra loro i fenomeni più disparati.
Ed è appunto ad una figura del genere che sembra aver pensato Adele Lotito sin dall'inizio della sua ricerca, volta da sempre a circoscrivere il caotico e l'indeterminato, ma solo per far balenare al loro interno la luce del significante, quale invito rivolto a chi guarda, affinché compia un atto di "intelligenza" mediato sì da codici noti, ma non avulso dal nostro essere nel mondo.
E non penso soltanto all'uso del nero fumo per dipingere con ineffabile concretezza le sue lastre d'alluminio, trovando poi sempre la maniera di immettervi colori e forme prelevati dalla realtà, ma anche al suo originale modo di riconnettersi all'esperienza del sublime, esperienza alla quale alludono sia la dismisura della misteriosa nube generata da una semplice candela, sia la luce stessa di questo inusitato pennello, metafora evidente dell'umana coscienza ravvivata da un inesauribile desiderio di esplorare e conoscere.
Indubbiamente con tutti quei lavori in cui le forme ospitate tra le volute della sua nube si sono precisate come lettere e numeri, la nostra artista ha voluto dare un giro di vite alla propria indagine sull'uomo, ricordandoci che il suo dominio sulla natura è divenuto veramente tale solo nel momento in cui egli è riuscito ad elaborare degli strumenti capaci di creare altri strumenti. Quei "metastrumenti" di cui il linguaggio e il calcolo sono la manifestazione più sofisticata e pervasiva.
Ma se è vero che una rappresentazione sintetica delle prerogative di calcolo e linguaggio come quella fornitaci dalla Lotito non può che valere quale monito a servircene per diradare le nubi dell'intolleranza e recuperare la luce del dialogo, è anche vero che essa non poteva che attrarre la nostra artista verso il più ambizioso dei prodotti creati dalla simbiosi tra linguaggio e calcolo: quelle teorie sulla natura fisica dell'universo, il cui continuo succedersi nel tempo veniva spiegato da Albert Einstein non solo come conseguenza della necessità di affrontare fatti nuovi non spiegabili dalle teorie esistenti, ma anche come frutto di uno "sforzo verso l'unificazione e la semplificazione delle premesse della teoria nel suo insieme".
Una tendenza quest'ultima più che manifesta anche nella celebre affermazione: "Sembra difficile dare una sbirciata alle carte di Dio. Ma che Egli giochi a dadi è qualcosa a cui non posso credere nemmeno per un attimo" con la quale lo scienziato tedesco volle sottolineare la propria difficoltà ad accettare l'idea di Niels Bohr che nella fisica quantistica potesse valere il principio di complementarità. Affermazione alla quale Bohr, come è noto, rispose con l'altrettanto celebre ammonimento: "Smettila di dire a Dio cosa fare con i suoi dadi"
Incontrando nelle sue ricerche una disputa di così alto livello svoltasi, tra l'altro, almeno all'inizio, per lettera e in tono scherzoso, la nostra artista ha avuto l'idea, in occasione di una sua recente "personale"1 di provare a tradurre un simile punto d'arrivo nei termini del suo discorso creando un'installazione intitolata "I dadi di Dio" nella quale le sue lastre con lettere e cifre si univano a formare due grandi cubi sospesi e una versione semplificata del botta e risposta dei due scienziati era riprodotta a terra a mo' di trascrizione di due diverse giocate.
Creatvità e costruttività, pensiero logico e pensiero simbolico, senso ludico e ricerca della verità, venivano così colti in un momento irripetibile del loro intreccio storico, ma restava aperto l'interrogativo di partenza: da quale tipo di tensione dovremmo prendere le mosse, da quello del bisogno e della tecnica o da quello dell'immaginazione e della comunicazione? Adele Lotito, con i suoi ultimi lavori, non pretende di darci una risposta, ma per cercarla ci propone di tornare, in qualche modo, all' antenato che avevamo lasciato sulla soglia della sua caverna ad osservare il firmamento.
Per trovare un ordine in ciò che osservava e relazionarlo alla propria realtà. egli avrà sicuramente cominciato a distinguere tra stelle più e meno luminose e a notare che alcune di esse occupavano una posizione costante, e forse avrà anche provato a tracciare idealmente delle linee per unirle tra loro aiutandosi con le forme conosciute di animali, luoghi e manufatti.
Non poteva saperlo, ma il suo era l'avvio di un lavoro proseguito poi per secoli e giunto fino a noi con l'affascinante carosello delle costellazioni, memore sì di pratiche assai più terrene come quella di segnare con corde e puntelli il perimetro di un tempio o di una cattedrale, ma anche attraversato da pulsioni astraenti come quella a trovare le leggi segrete dell'armonia e della bellezza.
Se poi il nostro ignoto antenato si sia affacciato sull'uscio del suo abituro tenendo in mano "l'opra" cui stava lavorando, questo non è dato sapere.

Paolo Balmas